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Primavera

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PRIMAVERA

 

Caterina, oggi, ha la luna storta.

E, come tutti quelli che si alzano con la luna storta, odia il mondo. Sì, sì, proprio il mondo: le pareti verde-chiaro della sua camera, i jeans di traverso sulla sedia, il mare- troppo azzurro- al di là dei vetri.

E, naturalmente, odia il professore di filosofia: il sorrisetto idiota sulle labbra, le dita aperte, mentre le dice:” Cinque”. Quel numero la perseguita dal giorno prima, le batte in testa, ce l’ha sempre davanti agli occhi: quello stupido numero, che misura la sua inadeguatezza. Ne ha piene le tasche di cinque...

Pomeriggi interi a studiare e poi, paff! al momento dell’interrogazione, sembra che tutto- date nomi concetti- tutto, evapori in una lontananza irraggiungibile...

...e lei rimane lì, sola, immensamente sola, col suo cinque e la sua umiliazione: la disfatta.

Quelle stronze- sì, Chiara, Sandra, le altre- sempre in giro con il motorino: ecco, stanno passando ora sotto il balcone: “ Ciaoooo, Cate!” Eh, ciao. Non la invitano però a uscire con loro: troppo appiccicosa, rischiano di trovarsela sempre fra i piedi...avrà pure i suoi problemi ma, insomma, mica fanno le baby-sitter di professione, loro.

Un pigolio in alto, a sinistra: si sono schiuse le uova dei balestrucci: il puntino nero di un occhio, un becco aperto, in attesa di cibo, appena fuori del bordo d’argilla del nido. Quegli stupidi uccelli...vengono a piazzarsi lì, ogni primavera. Che cantate a fare? Cosa c’è di tanto bello per cui essere contenti?

Caterina sente montare una rabbia sempre più buia, dentro: la faccia odiosa del professore si sovrappone e si confonde col saluto delle compagne, portato via dall’aria tiepida di maggio. E dall’indifferenza, orrenda come un muro compatto, invalicabile.

E’ troppo azzurro, oggi, il mare. E’ troppo felice la gente: troppo sconsolata lei. Abissalmente sola.

Quegli stupidi uccelli...gridano come pazzi. Caterina si tappa le orecchie e serra forte le palpebre. Troppo azzurro il mare. Smettetela! Capito? Basta! Ma non la smettono: gli strilli acuti della loro fame sembrano perforarle il cranio, arrivare in fondo, in fondo, in un punto oscuro e dolente.

Riapre gli occhi. La mamma ha dimenticato la scopa, appoggiata alla ringhiera. Non sa esattamente quel che sta facendo: la prende con tutt’e due le mani e sferra il primo colpo. Basta! Zitti! Un altro: cadono i primi frammenti d’argilla. Un altro. Un altro ancora. Il nido si sgretola: i piccoli cadono, ad uno ad uno, sulle mattonelle scaldate dal primo sole della bella stagione. I piccoli corpi sussultanti, i gusci delle uova schiuse da poco. E sempre quel mare, troppo azzurro.

Caterina sbatte la porta-finestra, rientrando in camera. Gli occhi, asciutti, sbarrati sulla solitudine di un dolore, che è come una cisterna buia. Una grotta di desolazione infinita.

 Rosa Maria Cantatore - 12/01/2018 07:22:00 [ leggi altri commenti di Rosa Maria Cantatore » ]

grazie, Arcangelo: hai letto una delle poche pagine di prosa, che ho scritto.
Senza dubbio, quella a cui tengo di più :)

 Arcangelo Galante - 11/01/2018 11:35:00 [ leggi altri commenti di Arcangelo Galante » ]

Una fluida storia che, nella propria brevità, parla di emozioni, sentimenti, stati d’animo, e di ogni intenso sentire e percepire la realtà della protagonista, la quale, pare essere “condannata” a sopportare la solitudine, per mezzo dell’altrui indifferenza.
Invero, in lei, regna un incompreso senso di inappagamento, rimasto sordo per quanti non hanno compreso i reali bisogni interiori di Caterina.
Cosicché, quella sensazione di vuoto dell’io, diviene una vera e propria malattia, che, solo l’anima, può eliminare, accettandone, forse, temporaneamente, l’esistenza, poiché facente parte della sua vita, in quel periodo buio, ove, un semplice alzarsi con “la luna storta”, le ha riempito la testa con pensieri tristi e pessimi.
C’è da dire che, dinanzi a certe situazioni, non tutti reagiscono nel medesimo modo e che se lei avesse incontrato più attenzione, le cose le sarebbero apparse diverse, meno uggiose e difficili da digerire, mentalmente.
Quello che mi ha colpito, leggendo, è la capacità di aver resa indimenticabile la “primavera” di una stagione di cambiamenti d’umore e di rinascita emozionale.
D’effetto resta il finale, molto significativo!


 Rosa Maria Cantatore - 17/12/2015 17:12:00 [ leggi altri commenti di Rosa Maria Cantatore » ]

infatti, Jacob, la causa scatenante dell’orribile atto distruttivo di Caterina è proprio l’insoddisfazione di sè. E la solitudine. E l’indiffferenza degli altri al suo dolore- cupo e profondo.
Grazie: sono felice che tu abbia colto l’intento comunicativo di questo brano.
Un saluto :)

 Jacob l. - 17/12/2015 16:32:00 [ leggi altri commenti di Jacob l. » ]

Rosa Maria, il tuo racconto è bello così. La disperazione, rabbia, della protagonista è ben mostrata, delineata da quel cinque ripetuto che è certamente più efficace di altre banalità come un litigio con il ragazzo ( ! ) ed altre. Il "cinque" con la mano aperta. Uno schiaffo al proprio io.
Ciao

 Rosa Maria Cantatore - 26/11/2015 18:52:00 [ leggi altri commenti di Rosa Maria Cantatore » ]

molte, molte grazie per la tua lettura così attenta.
A presto, alla prossima :) ;)

 Antonello Farris - 24/11/2015 17:21:00 [ leggi altri commenti di Antonello Farris » ]

Il racconto ha una buona impostazione. Il senso di odio per il mondo intero cresce man mano che la storia procede e il finale con quel dolore “come una cisterna buia” è più che convincente. Anche la frase di chiusura, concisa e netta, va molto bene. Forse all’inizio ci vorrebbe un motivo forte che giustifichi la sua “luna storta” che la porta a vedere nero tutto ciò che la circonda (e il 5 in filosofia o le amiche antipatiche sono motivi un po’ fragili). Mettici qualcosa di più forte che la preoccupa e che in certi giorni torna a galla (il suo futuro…il suo ragazzo…i suoi genitori che bisticciano…il suo corpo che non le piace…). Io l’idea che mi sono fatto è che Caterina non ha autostima (buttar giù un nido è indice proprio di questo). Parti da lì e miglioralo.

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